Della letteratura americana e dell’amore indefinito

Sottotitolo: il “pippone” ha un senso, fidatevi arrivate fino in fondo.

Perché leggere la letteratura nord americana? La risposta è impossibile e ha, per giunta, delle premesse irrisolvibili. La letteratura americana è un ibrido indefinibile. Non esiste il grande romanzo americano, non esiste alcun romanzo nazionale che descriva l’America. Senza contare che lo stesso concetto di America è inevitabilmente problematico. Il volto coloniale ha fatto sì che la letteratura americana non avesse bisogno di struttura ma di coraggio. Che parlasse di Dio e di libertà, di lotta e potere. Non si fa cenno alla Nazione se non in termini astratti e patriottici, un concetto puramente funzionale, non dimentichiamoci del senso di “invasione” che pervade la cultura americana in modo fortemente bipolare.

L’America (esiste?) solo come una entità geografica, innegabile nel vero, ma che non può essere fattuale. Quale America dunque? Le famiglie midwestern bianche, borghesi e disfunzionali di Franzen? Le rivendicazioni afro-americane di Baldwin? Le ossessioni ebraiche di Roth? Non può esistere un Grande Romanzo Americano, perché non esiste una versione univoca dell’esperienza americana. Il che è una cosa molto americana.

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E qui entra in gioco la nostra contemporaneità. L’America ha come scenario l’aspetto fondante della globalizzazione, diviene una sorta di presentimento dei nostri anni, ovvero la convivenza di culture radicalmente differenti.  Quali sono i tratti di un mondo ormai globalizzato? Come si tengono unite voci tanto distanti e differenti? Come si può immaginare una letteratura globale che viaggia verso destini culturali e talvolta opposti? Quale voce e quale grazia potrebbe mai narrare in modo preciso le dinamiche fluide in cui siamo immersi? 

Ecco che la letteratura americana diventa così uno specchio di una profondità disarmante. Le infinità delle pianure americane del North Dakota, South Dakota, Nebraska, Kansas, Oklahoma, Iowa, Missouri e Mississippi diventano fiumi coltivati a grano con caratteri simili alle nostre pianure. Non possiamo che sentirci spaventati dalla vastità piatta, quella che mai scompare, nella immensa distesa padana. Le complessità sociali, l’immigrazione, a secoli di distanza, diventano un problema tutto europeo ed ecco che gli echi coloniali del Mississippi tornano a tormentarci; come il Canto della Ward mentre la musica e la bellezza ruvida del Blues, del Jazz e del Rock continuano ad influenzare la vita emotiva di miliardi di persone dettando e definendo pulsioni e desideri più profondi.

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La letteratura americana ci ha fornito (e ci fornisce) quei romanzi che, hanno impostato da un giorno all’altro una nuova visione, una nuova voce, un nuovo modo di leggere il mondo, di confrontarsi o scontrarsi con esso. Hanno saputo imprimere al corso della letteratura una direzione diventando così i migliori interlocutori dei nostri cambiamenti vorticosi. Dietro vi sta un inseguimento instancabile, la ricerca di qualcosa di irraggiungibile, che proprio con la sua consapevole irrealizzabilità, attribuisce significato e scopo all’esistenza. Diventa la “cosa più vicina alla vita” che possiamo immaginare. 

L’America è sempre stata proiettata su due fronti: la ricerca della felicità, costituzionalmente garantita come principio, e la sua impossibilità. Scivoliamo non solo nei romanzi di Richard Yeats, i racconti di Carver, Roth, ma anche nella distopia più furiosa di Philip K. Dick, Ursula L. Guin, i miti pop di Neil Gaiman, l’odissea della frontiera di McCarthy, le nevrosi collettive di Franzen, le visioni di Asimov, le donne elettriche di Naomi Alderman, il coraggio tossico di Hemingway, l’inesorabile di Richard Ford, le donne umili di Lucia Berlin, il contagio della fragilità di Sylvia Plath e Anne Sexton, la galoppata di Kerouac, Ginsberg e Ferlinghetti, l’esasperazione di Bret Easton Ellis, il grido di Harper Lee. L’elenco di nomi è vertiginoso, forse inutile. Wallace è di per sé impossibile da inquadrare in alcun sentimento predominante, forse solo il termine “realismo depressivo” lo può afferrare.

Il tradimento, della promessa mai realizzata di una felicità permeata dal benessere, trasforma l’America nel luogo perfetto per le dicotomie bipolari: il dolore, la passione, la noia e la fine dell’umanità per come la Storia l’ha definita sino ad ora. Compaiono sullo sfondo i ghetti, i mescolamenti culturali, il blues, il jazz, Nick Cave, Pj Harvey, Bruce Springsteen. Il senso profondo dell’America è, però, quell’atavica capacità di resistere al destino inesorabile. Da terra di salvazione, di conquistatori e liberatori, l’America si sveglia vulnerabile dopo un lunghissimo sonno economico. L’11 settembre crea un episodio senza precedenti nella storia americana: il conflitto si sposta nelle terre oltreoceano, per la prima volta l’America viene attaccata dopo la fine della Seconda Guerra. Dio lascia per sempre la sua terra prediletta. Non basta più la benedizione, il senso del coraggio, le lotte intestine che si rispecchiano nel fermento del mondo. Ora manca la grazia e la sicurezza di avere un posto nel futuro del mondo. Ecco che hanno voce Wallace, Andre Dubus, Didion, Oates, Capote in quel presentimento profondo di smarrimento di senso, quello che Flannery O’Connor chiamerà “la polvere nel territorio del diavolo”- ovvero colui che grida (davvero) in ogni forma di vita. Dio non ha più una forma predestinata, non è più la volgarità cattolica e la sua idolatria; ora ha nomi pesanti, di altre culture, ha sensazioni umane – troppo umane – e diviene filosofia ascetica, muore. E così muore l’America per come l’abbiamo conosciuta. 

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La letteratura Nord Americana, tuttavia, non è nata dal nulla. Ha moltissimi anni di raffinazione, forza, voce democratica, libertà e contagio. Si può affermare che la letteratura americana, per come l’abbiamo mitizzata, è nata però nelle librerie. Ha vissuto nel senno dell’esperienza visionaria della Shakespeare and Co. di Sylvia Bleach a Parigi, o del Caffè Select che ospitò Erza Pound, Fitzgerald e l’indimenticata Zelda, Anais Nin, Faulkner, per passare dalle librerie cittadine, di quartiere, dalle biblioteche pubbliche che imposero un canone altrimenti variegato e impossibile da contenere. E’ nata in luoghi iconici come la City Light Bookstore di San Francisco ad opera di Ferlinghetti che diede eco alla Beat Generation; per arrivare ai market dei distributori di benzina che furono presi d’assalto dopo le pubblicazioni di Stephen King andate esaurite in ogni dove. Nulla poteva fermare il senso di coraggio e libertà infuso all’America dalla letteratura, ben consapevole, di essere il nuovo centro culturale del mondo.

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Come fare, quindi, se si vuole approfondire alcuni aspetti di un vero e proprio universo di scrittori e scrittrici? Ecco alcune proposte di lettura che vi permetteranno di affondare le mani in questo orizzonte partendo dai fondamentali.

 

9788858643433_0_0_423_75Guido Fink, Mario Maffi, Franco Minganti, Bianca Tarozzi, Storia della letteratura americana. Dai canti dei pellerossa a Philip Roth, Bur Rizzoli, 2010

 

 

 

 

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Scarpino, Schiavini, Zangari, Guida alla letteratura degli Stati Uniti, Odoya, 2014

 

 

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Luca Briasco, Americana. Libri, autori e storie dell’America contemporanea, MinimumFax, 2016

 

 

 

 

 

 

51EVARKg6bLMaffi, Scarpino, Schiavini, Americana. Luoghi e icone, canzoni e miti della cultura americana dalla A alla Z, il Saggiatore, 2012

 

 

 

 

 

51906_image_70745352_3038735686162850_3786925037714407424_o-600x450Paolo Battaglia, Italian American Country. Trovare l’Italia nella provincia americana, AnniversaryBooks, 2016

Special guest:

James Wood, La cosa più vicina alla vita. Lezioni sul nostro amore per i libri, Mondadori, 2015

Flannery O’Connor, Nel territorio del diavolo, minimumfax, 2010

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