Truman Capote, la legittimazione del male

La mia recensione per Giornale Apollo: http://giornaleapollo.it/46594/truman-capote-legittimazione-male/

Titolo originale: Capote
Regia: Bennett Miller
Cast: Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener, Clifton Collins Jr., Chris Cooper, Bruce Greenwood.
Genere: Drammatico, Biografico
98 min
2005

Di Cinzia Carotti.

Siamo in un mondo in cui gli scrittori erano anche grandi cronisti e il loro lavoro era un prezioso punto di vista sociale dall’ampio respiro, oltre che dalla forte presa emotiva. Lontanissimi dai nostri scrittori contemporanei spesso autoreferenziali e slegati da una storia viva e pulsante, Truman Capote e l’amica Harper Lee (autrice premio Pulitzer per Il buio oltre la siepe) giungono sul luogo di uno dei delitti più efferati della storia americana contemporanea: lo sterminio della famiglia Halcomb. L’arresto di Smith e Hickock, gli assassini, gettò l’opinione pubblica in un delirio vendicativo senza precedenti chiedendo a gran voce la pena di morte, nonostante l’ampia dimostrazione delle fragilità cognitive dell’uno e dell’altro uomo. Capote, dopo il successo dei suoi articoli per il Times, decise di ampliare gli scritti convogliandoli in un libro, A sangue freddo il suo capolavoro.

Lo stesso Capote dichiarerà che “scrivere il libro non è stato difficile quanto il viverci sempre assieme” tant’è che sarà l’ultima opera completa del grande scrittore americano. L’ansia di Truman di fronte alla mancata fine del caso, i rinvii dell’esecuzione, il suo libro ancora senza un finale, i suoi sentimenti ambivalenti per uno dei prigionieri che spaziano dalla compassione alla tenerezza al puro disprezzo lo gettano in un caos esistenziale da cui sarà difficilissimo riprendersi, parallelamente al suo crescente alcolismo.

Il film di Miller, dalla splendida fotografia e sorretto dalla magistrale interpretazione del compianto Philip Seymour Hoffman, risulta essere quasi un’integrazione al libro facendoci cogliere tutta la difficoltà emotiva che colse Capote nel dover affrontare un tema tanto delicato quanto antico come la pena di morte. Il diritto alla vendetta sembra prevalere nel suo scritto, senza nulla togliere alla profondità del libro e alla sua magistrale limpidezza. Se lo scrittore Capote risulta essere, spesso e volentieri, un personaggio sopra le righe nei suoi eccessi mondani e all’apice di un successo tanto meritato quanto frivolo, il Capote di Miller scivola volutamente nell’inferno sentendo il suo destino compiersi ad ogni riga che riuscì a catturare da quell’esperienza catartica. “Ci sono libri che il destino spinge perché siano scritti”rivela all’amica Harper mentre inizia a legarsi a uno dei due killer, Perry Smith, riconoscendosi nel passato di quest’ultimo e consapevole del destino che avrebbe potuto renderlo in balia della medesima ira o della medesima patologia nervosa del killer.

Queste sfumature che scorrono veloci fra le pagine di un resoconto memorabile, nel film diventano un punto di vista che ci aiuta a rovesciare la tesi dell’appunto presunto “sangue freddo” di Capote, l’unico realmente riconoscibile in tutta quella disperata vicenda. Ogni delitto non è mai a “sangue freddo” mosso da un male passionale quanto ineluttabile di cui tutti noi potremmo finire vittime, esecutori, o addirittura compiaciuti carnefici. Il film, pur sottolineando la necessità della pena, sembra sposare la tesi (seppur con fatica) secondo cui la bestialità della vendetta di stato non sia la risposta a nessun crimine, anche il più efferato, e la massima ingiustizia sia quella di reputare un essere umano privo di ogni valore; nonostante sia un soggetto problematico e talvolta profondamente pericoloso.

Il pericolo di una mente omicida, la ragion criminale, sembrano sposare ognuno di noi anche nelle scelte quotidiane quando agiamo con profondo egoismo contro il nostro prossimo. Nessuna persona viva è immune dal male e dal compierlo, mettendolo in atto anche in situazioni reputate socialmente legittimi, anche con le “migliori intenzioni”. Capote, che è stato profondamente vilipeso dalla così detta “buona società” americana, bollato come un perverso scherzo della natura e del destino necessario solo per il suo straordinario talento e sincerità, per primo ha attuato quei meccanismi di vanità e compiacenza che i vincitori attuano sui vinti, a causa dei quali uscirà emotivamente distrutto al punto di non riuscire più ad ultimare nessun lavoro vagando smarrito fra la sua coscienza e l’indifferenza della società americana. Cavalcando il lato oscuro presente in ogni mente umana, Capote con cinico opportunismo, riesce a far parlare “questo male assoluto e necessario” che inquina e fa brillare la vita di ogni individuo spingendolo verso il proprio destino. Il male come motore segreto della vita sembra prendere una forma inedita, sia nel libro sia nel film.

Il film restituisce tutte le atmosfere “capotiane” del libro arricchendole di una nuova prospettiva, figlie degli orrori contemporanei sempre più ambigui in cui il senso di giustizia diventa labile ed evanescente spaccato fra egoismi e spietate esigenze di sopravvivenza. La splendida fotografia, il montaggio delicato e mai disturbante crea un’atmosfera di elegante disturbo emotivo arricchito dalla sofferta quanto sofisticata interpretazione di Philip Seymour Hoffman che colpisce per la straordinaria somiglianza con lo scrittore confermandolo uno dei più grandi attori degli ultimi vent’anni; prova che gli valse l’Oscar come migliore attore del 2006.

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