Corpo celeste, metafisica di un senso sacro

La mia recensione per Giornale Apollo: http://giornaleapollo.it/45116/corpo-celeste-metafisica-senso-sacro/

Regia:Alice Rohrwacher
Cast: Yle Vianello, Salvatore Cantalupo, Pasqualina Scuncia, Anita Caprioli, Renato Carpentieri
Genere: Drammatico
98 min
2011

Di Cinzia Carotti.

Marta ritorna a casa, semplicemente. Abbandona la Svizzera, dove si era trasferita insieme alla famiglia, per approdare a Reggio Calabria, terra natia e straniera. La seguono una madre che l’adora, un padre assente e una sorella maggiore che la odia visceralmente.
Tutto ruota attorno alla cresima della piccola che inizia a scontrarsi con la metafisica del dolore cattolico e il sentimento della vita, che adolescente esplode in lei.

Alice Rohrwacher debutta alla regia di un lungometraggio con una prova che testimonia la sua abilità nel dirigere attori e attori esordienti, garantendo quel neorealismo che per un film come Corpo celeste è una qualità indispensabile. Tuttavia, non è un film realista in senso classico, la verosimiglianza dell’ambiente, del contesto sociale, si disperde attraverso il senso “celeste” (appunto) del messaggio. Non abbiamo una trama lineare o narrativa che scava il senso adolescenziale della piccola Marta, che si scontra con convenzioni sociali e religiose superstiziose, ma il corpo celeste di un Dio sconosciuto che si confronta con il corpo materiale di una bambina diventata una giovanissima donna, in un mondo in cui essere donne è un fatto indifferente (“chi è lei per Santa Madre Chiesa? Che ruolo ha una donna in tutto questo?”).

La religiosità formale della popolazione, mista fra ignoranza, superstizione e puro affarismo ipocrita, si scontra con il senso profondo della scrittura in cui il corpo sacro degli uomini è la porta di accesso ad ogni regno di senso. In questo modo Marta compie un viaggio in gironi infernali, quasi fosse un Cristo al calvario che assiste alla brutalità dell’uomo e aborra la sua bestialità. Solo nella madre, Marta, trova comprensione come accadde a Cristo che abbandonato dal padre celeste ha al capezzale del suo calvario la sua madre terrena, certa solida mentre tutto gli si stringe soffocandolo. Il corpo sacro è dunque messo al centro di un viaggio in un occidente abituato a vedere (meravigliosa la scena dei piccoli cresimandi che bendati si aggirano per la chiesa avvolti da un silenzio fecondo di attesa ed emozione) mentre non riesce più a sentire nulla, soprattutto a livello emozionale.

L’apatia dei ragazzi, dei sacerdoti, il carrierismo feroce del parroco, si scontra con la fede sincera della catechista e il dolore di non poter adempiere al suo sincero desiderio di vocazione non essendo istruita a farlo in modo soddisfacente e la ferocia che è al centro del fuoco della passione (anche cristologica il passo citato sulla “follia di Cristo” e i suoi apostoli costretti a trascinarlo fuori dalla stanza per non correre il rischio di atti sconvenienti). La polvere di una fede viva  si porta nel mondo attraverso la polvere che la bambina amorevolmente toglie dal crocifisso e annusa con estrema curiosità cancellando nel suo cuore ogni reticenza. Ora Marta è pronta per la vera cresima, quella del mondo. Come il crocifisso che si lava nell’acqua del mondo e torna tramite un nuovo battesimo ad essere vivo, Marta scivola in un mondo ostile attraverso un fiume inquinato dai rifiuto, dalla bestialità degli esseri umani e si avventura in una casa fatta di speranza e sogno insieme ad altri coetanei che della meraviglia e dello stupore hanno fatto il loro credo.

Chi si aspettava una narrativa precisa e neorealista sarà sicuramente deluso e poco affascinato, ma siamo di fronte ad un vero gioiello del nostro cinema che si fa strada attraverso sceneggiature simboliche e coltissime in cui letteratura alta (quella di Anna Maria Ortese che scrisse appunto Corpo celeste a cui si è liberamente ispirata la regista) e cinema di qualità convivono in un rapporto fecondo e da ampio respiro internazionale.

Assolutamente consigliato.

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